Un libro che mi ha inquietato, turbato, e che all'epoca ho amato poco, e forse capito ancora meno. L'ho rivalutato soltanto dopo, e mi spiace molto, perché ho una grandissima stima di Guðbergur, che dietro lo sguardo azzurro e pietroso ha dei guizzi di pura follia. Ma mi ha reso famosa, per la recensione apparsa su «La Repubblica» del 28 marzo 2002, con il mio nome in prima pagina.
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